Il datore di lavoro può controllare le mail del dipendente. Ma è sempre vero?#in
“Il datore di lavoro può acquisire il testo dei messaggi di posta elettronica scambiati dal lavoratore con soggetti estranei ex post, ovvero dopo l’attuazione del comportamento addossato al dipendente, quando erano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l’avvio di un’indagine retrospettiva“. Con questa massima la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha respinto il ricorso di un ex dirigente di banca che era stato licenziato in tronco nel 2004 “per aver divulgato a mezzo di messaggi di posta elettronica, diretti a estranei, notizie riservate concernenti un cliente dell’Istituto e di aver posto in essere, grazie alle notizie in questione, operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale”. Il licenziamento era stato confermato dai giudici sia di primo grado che d’appello. La Corte di appello, in particolare, aveva ravvisato la violazione dell’obbligo di segretezza e correttezza (previsti dall’articolo 2104 del codice civile), del regolamento interno e del codice deontologico. Nel complesso, il dipendente aveva tenuto un comportamento “particolarmente lesivo dell’elemento fiduciario” sfruttando la propria posizione in azienda. La Cassazione respinge il ricorso di un ex dirigente di banca licenziato per aver diffuso via email notizie riservate ad un cliente. Adesso è toccato alla Cassazione convalidare il licenziamento per giusta causa nei confronti dell’ex dirigente bancario. Dal “legittimo sospetto” che il dirigente avesse divulgato notizie riservate relative ad un cliente della banca, utilizzando la posta elettronica, è partito il controllo della sua mail aziendale personale da parte del direttore dell’istituto di credito. Secondo i giudici della Suprema Corte questo genere di controlli non contrasta né con l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori né con l’art. 114 del decreto legislativo 196 del 2003 in materia di salvaguardia dei dati personali. In questo caso infatti “entrava in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, che era costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico“.
Il dirigente licenziato si era difeso sostenendo che i controlli sulle sue mail fossero illeciti e che il datore di lavoro avesse violato le garanzie dello Statuto dei lavoratori sui limiti nei controlli a distanza dei dipendenti. La Cassazione ha sancito invece che il controllo “non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo l’immagine dell’istituto bancario“. L’attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali da parte della banca “prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione”, essendo, invece, “diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati)”. Una sorta di controllo difensivo, in altre parole.
La Suprema Corte tuttavia è chiara nel precisare che il controllo della posta elettronica e degli accessi ad internet da parte del datore di lavoro per verificare la corretta esecuzione della prestazione è, in linea di principio, vietato. Non lo diventa più, però, quando avviene in seconda battuta, nel momento in cui l’azienda, a seguito dell’emersione di elementi di fatto “tali da raccomandare l’avvio di una indagine retrospettiva”, accede alla corrispondenza telematica del dipendente. E dall’ispezione ravvede delle violazioni gravi che ne giustifichino il licenziamento.
Avv. Valeria Villecco
Studio Legale Commerciale Villecco