Il meccanico può trattenere legittimamente l’autovettura se il cliente rifiuta di pagare (#in)
Secondo una recente pronuncia della Suprema corte (Cass. Pen. 04/05/2011, n. 17295) l’omessa restituzione della cosa non realizza l’ipotesi del reato di cui all’art. 646 c.p. se non quando si ricollega oggettivamente ad un atto di disposizione “uti dominus” e soggettivamente all’intenzione di convertire il possesso in proprietà; ne deriva che la semplice ritenzione precaria, attuata a garanzia di un preteso diritto di credito conservando la cosa a disposizione del proprietario e condizionando la restituzione all’adempimento della prestazione cui lo si ritiene obbligato, non costituisce appropriazione perchè non modifica la natura del rapporto giuridico fra il bene e la cosa (Cass. Pen. Sez. 2, 25.01.2002 n. 10774). Nel caso di specie un’officina meccanica, dopo aver effettuato alcune riparazioni su una autovettura che le era stata affidata, ha presentato il conto al proprietario della stessa, il quale si è rifiutato di pagare, adducendo che il consuntivo risultava maggiore di quanto preventivato: inevitabile, pertanto, che il contenzioso venga posto dinanzi al giudice civile. Nel frattempo, tuttavia, i titolari dell’officina rifiutavano di restituire il bene mobile, manifestando l’intenzione di trattenerlo fino al dovuto pagamento. Ne è derivata una querela nei loro confronti per appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 c.p., a seguito della quale il GIP ha disposto il sequestro dell’autovettura con decreto poi confermato con l’ordinanza del Tribunale della Libertà competente. Ed è questo provvedimento che è stato impugnato per cassazione dai proprietari dell’officina, adducendo che essi si erano limitati ad esercitare il diritto di ritenzione, previsto dall’art. 2756 del codice civile. Infatti, di fronte al mancato tempestivo adempimento dell’obbligazione il creditore che detenga in ragione del rapporto obbligatorio una cosa di proprietà del debitore può rifiutarsi di restituirla fino a quando l’obbligazione non sia adempiuta; tale concetto è del tutto conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità che ha sottolineato come il diritto di ritenzione previsto dall’art. 1152 c.c., attuando una forma di autotutela in deroga alla regola per cui nessuno può farsi giustizia da sè, costituisce istituto di carattere eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica e che compete quindi solo al detentore qualificato (Cassazione civile, sez. 2, 19/08/2002, n. 12232). Nella specie, i ricorrenti hanno agito in virtù della detenzione qualificata che li legava alla vettura, a loro affidata per le riparazioni in officina, sicchè il loro comportamento non risulta illecito nè sul piano oggettivo, avendo trattenuto la cosa in attesa del pagamento, nè su quello soggettivo, non essendo stato il diritto di proprietà del cliente mai posto in discussione. Il Tribunale ha ignorato tale principio, ormai consolidato, non assumendo alcun rilievo – nella specie – la questione circa la liquidità ed esigibilità del credito vantato dai creditori, poichè tale questione non vale ad escludere la totale carenza dell’elemento soggettivo dell’ appropriazione indebita, consistente nella volontà di fare propria la cosa, privandone definitivamente il proprietario. Sul punto la Cassazione conferma tre princìpi: 1) il reato di appropriazione indebita avviene con l’interversione oggettiva del possesso ossia allorché il soggetto agente, mero possessore, esercita la signoria sul bene “uti dominus”; 2) il corretto esercizio del diritto di ritenzione, di cui all’art. 2756 c.c., che consiste nell’omessa restituzione della cosa e nella sua ritenzione a titolo precario, a garanzia di un preteso diritto di credito, non integra il reato di appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 c.p., in quanto non modifica il rapporto tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione uti dominus e l’intenzione soggettiva di interversione del possesso; 3) in tema di appropriazione indebita, il diritto di ritenzione esercitato sul bene altrui ha efficacia scriminante solo se il credito che si intende tutelare sia certo, liquido ed esigibile, ossia determinato nel suo ammontare e non controverso nel titolo. Di conseguenza, mancando l’elemento soggettivo dell’appropriazione indebita, consistente nella volontà di fare propria la cosa, privandone definitivamente il proprietario, viene pure meno il fumus del reato contestato, con conseguente annullamento senza rinvio sia dell’ordinanza impugnata sia del correlato decreto di sequestro.
Avv. Angela Congi
SLCV