L’Agenzia delle Entrate e gli ”accertamenti a valanga”
Accertamenti a valanga
Nelle ultime settimane la Direzione calabrese dell’Agenzia delle Entrate ha avviato un controllo massivo su una specifica categoria di intermediari dei servizi.
Tutto inizia dall’acquisizione di certificazioni sulle provvigioni corrisposte dalle mandatarie, seguita dalla richiesta, a tutti gli intermediari presenti sul territorio, di documentare la liquidazione delle imposte di un triennio.
Gli accertamenti a valanga
Né è derivato un “accertamento a valanga”, una serie di accertamenti, cioè, basati sul medesimo presupposto.
Partendo proprio dalle certificazioni rilasciate dalle mandanti, l’Agenzia delle Entrate contesta ai vari intermediari di non avere dichiarato i “rappel” corrisposti dalla compagnia in un esercizio, sulla base dei calcoli effettuati con i dati dell’esercizio precedente.
Ulteriori presupposti dell’accertamento sarebbero:
1) la natura di provvigioni attive degli importi certificati dalle compagnie (E CORRISPOSTI) in un determinato esercizio a titolo di premi sull’attività dell’esercizio precedente.
2) il periodo di competenza applicabile, secondo cui “i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti (…) alla data in cui le prestazioni sono ultimate”.
3) L’«esistenza certa e l’oggettiva determinabilità» degli importi ripresi a tassazione, requisiti richiesti dall’art. 109 del TUIR ai fini dell’individuazione del momento temporale di imputazione a reddito dei componenti positivi e negativi.
4) L’irrilevanza del momento di esigibilità del compenso per la prestazione svolta dall’agente, rappresentando il ritardo una dilazionare il pagamento della provvigione maturata.
Erroneità dei presupposti
Ebbene i presupposti sopra richiamati si rivelano erronei già a una prima analisi dei provvedimenti assunti. Vari i motivi per cui si può legittimamente richiedere l’abbandono dell’attività d’accertamento.
Il primo è riconducibile all’errore commesso dall’Ufficio nell’individuazione della natura del provento ripreso a tassazione e, quindi, della sua competenza economica.
Il secondo motivo è costituito dalla natura incerta e preventivamente indeterminabile dei ricavi ripresi a tassazione.
La contestazione mossa dall’Agenzia, inoltre, altro non costituirebbe, qualora se ne volesse assumere per assurdo la correttezza dei presupposti, che un errore di competenza.
Infatti, in tale ipotesi assurda, il contribuente avrebbe sbagliato l’imputazione temporale di elementi positivi di reddito, che comunque avrebbero concorso alla formazione del reddito nel periodo successivo a quello oggetto d’accertamento.
Nessun danno, quindi, se pure fosse valida la tesi dell’errore di imputazione della competenza economica, sarebbe conseguito all’Erario.
I pesci nella rete
L’attività accertativa è dunque palesemente erronea nei presupposti, ma rappresenta una tecnica efficace dell’Amministrazione Finanziaria, che con il minimo sforzo avvia di una “valanga” di accertamenti (altrimenti ingiustificati) da cui, con la tecnica del pescatore, riesce alla fine a raccogliere i pesci che rimangono nella rete.
In tal modo aumenta il gettito, senza toccare le aliquote, e migliorano i dati del “recupero dell’evasione”.
Rischio contenzioso iniquo
Sarebbe bello, se fosse tutto vero e, soprattutto, se non si rischiasse di attivare una mole enorme di contenziosi che, quasi certamente, daranno ragione al contribuente, dopo molto tempo, preoccupazioni, e tanti soldi spesi.
Analisi corretta già fatta dal sottoscritto in occasione di notifica accertamento in merito a un mio cliente.
Pertanto mi pregio condividere il contenuto della presente.
Grazie. Come è andata a finire con l’accertamento che hai seguito?