Licenziamento per scarso rendimento
LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO
CASSAZIONE N. 24361 DEL 1 DICEMBRE 2010
Il caso riguarda un lavoratore che, prima del procedimento disciplinare che ha poi condotto al licenziamento, aveva già subito ripetuti richiami verbali e sanzioni conservative per non aver svolto diligentemente il proprio lavoro. Non avendo fatto tesoro di questi richiami, a seguito delle lamentele degli altri dipendenti (su cui cadevano le inefficienze del lavoratore), il datore di lavoro aveva deciso di monitorare l’attività del dipendente per circa un mese, per poi contestargli tutte le mancanze commesse in tale arco temporale. Poiché nell’insieme dei fatti contestati si ravvisava una gravissima violazione degli obblighi di diligenza del lavoratore doveva ritenersi legittimo il recesso per giusta causa o, in subordine, per giustificato motivo soggettivo.
Il Giudice di primo grado dichiarava tale licenziamento illegittimo reintegrando il dipendente. La Corte di Appello di Brescia riformava la sentenza del Giudice di primo grado ritenendo legittimo il licenziamento. Il lavoratore ricorreva in Cassazione.
La sentenza in esame assume rilievo sotto due aspetti: quello procedurale e quello sostanziale.
Relativamente al primo profilo procedurale la Suprema Corte ha statuito che: “Il requisito di immediatezza della contestazione disciplinare deve essere inteso in modo ampio e non restrittivo essendo questo principio compatibile con l’intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal lavoratore”.
I Giudici di Legittimità richiamano, quindi, i principi giurisprudenziali consolidati in merito alla relatività del principio dell’immediatezza e la compatibilità dello stesso con l’intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal lavoratore.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, essendo tali infrazioni del dipendente plurimi comportamenti concentrati in un mese e, quindi, in un lasso di tempo breve, la Corte d’Appello ha coerentemente negato che il datore di lavoro avesse l’obbligo, volta per volta, di contestare e sanzionare in maniera progressiva e graduale i singoli episodi in quanto questi sono risultati elementi di prova rappresentativi di un quadro di scarsa diligenza nella prestazione lavorativa, sufficienti a legittimare la risoluzione del rapporto.
La Suprema Corte ha, quindi, in primo luogo, escluso la violazione del principio dell’immediatezza della contestazione.
Relativamente al secondo profilo, quello sostanziale, la Suprema Corte ha statuito che: “E’ legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta di una complessiva valutazione dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati da datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.
L’apparente novità è costituita dal fatto che i Giudici di legittimità sembrano desumere la negligenza della condotta del lavoratore dal mancato raggiungimento degli obiettivi e dalla sproporzione tra la qualità della prestazione lavorativa del dipendente poi licenziato e le performance medie dei colleghi.
Ma, avendo l’istruttoria confermato anche i vari inadempimenti contestati, la proporzionatezza del licenziamento deriva anche da ulteriori fattori: “la frequenza e la ricorrenza delle mancanze, la sua abitualità ai limiti dello scarso rendimento, l’evidente progressiva disaffezione al lavoro”.
In conclusione, il datore di lavoro oltre ad aver provato il divario tra la qualità della prestazione del lavoratore licenziato e quella media dei suoi colleghi, ha anche dato prova dell’imputabilità di ciascun addebito alla colpa del lavoratore.
Sulla base di tali riscontri, la Cassazione ha dato ragione al Giudice d’Appello che aveva correttamente rilevato che la condotta del dipendente era sintomo di un rendimento lavorativo insufficiente che andava ricompreso nella violazione degli obblighi di diligenza, nell’inadempimento della prestazione e nello scarso rendimento, elementi tutti questi sufficienti a legittimare la risoluzione del rapporto.
Avv. Valeria Villecco
Dr.ssa Cristina Naccarato
SLCV